Scrivere per pensare, non per parlare.A macchia d’olio spargersi sul fazzoletto nel taschino, sentirlo umido sulla pelle rivestita.Giorgio non si dava pace. Ogni volta gli capitava un’occasione speciale o comunque particolare come quella di doversi trovare a contatto di persone nuove, con cui fare bella mostra di sé, accadeva un imprevisto seppur banale ma fastidioso alla corteccia cerebrale da fargli alzare gli occhi al cielo a maledire il fatto di non saper imprecare. Cazzo, e ora? E ora niente, niente di niente se non…… tornare a casa, rifare la strada al contrario, parcheggiare, incamminarsi, salire le scale col fiatone farne padrone della situazione, con i piedi a piantare il suolo calpestato, trovare la chiave per entrare, lasciare aperta la porta per poi riuscire, cercare qualcosa che fosse in tinta con la camicia, non trovarla, lasciare semichiusi i cassettoni dell’armadio, pescare qualcosa di decente, indossarla, sbagliare scarpe e lanciarle contro il muro, infilare quelle solite, quelle nere, inciampare, sollevare, scendere in picchiata sui gradini a due a due, riaccendere i motori, disseminare gli oggetti sul cruscotto, zigzagare, sbagliare strada, rimettersi in carreggiata, sbucare lì, sul posto dell’appuntamento, citofonare, rispondere e salire in ascensore, bussare alla porta di casa, presentarsi e accomodarsi, sfinito, sorridente, amareggiato con il mondo dalle formi uguali alla sua testa, acqua e terra a mescolarsi coi pensieri,pensieri, non parole.
Scrivere è vita
Scrivere è un’esperienza interiore meravigliosa. Guardare il display del pc riempirsi di parole sfumate dagli occhi arrossati attira gli sguardi e provoca ilarità diffusa, sdegno, malinconia di giorni perduti ingoiati dallo scarico del lavandino a vomitare dolore, a malincuore sensazioni mai vissute, desiderate, sognate, auspicate al destino infame, asce di guerra da levare al cielo con urla d’assalto verso intenzioni avverse.Si leva una bandiera stropicciata aldilà della collina, qualche metro più su dell’orizzonte, tanto da dover sollevare il mento quel che basta a vederla muovere lenta, mossa dal vento caldo accompagnato da granelli di sabbia provenire dalle dune ingiallite.La musica, il ritmo delle note unisce le dita sui tasti come sul pianoforte a coda nel buio di un teatro a luci spente. Martina sorrise a quei fogli adagiati sul davanzale della piccola finestra sul cortile. Si spogliò del grembiule e lo lasciò cadere sul pavimento di legno scuro. Corse ad aprire la porta di casa, di quella casa solitaria sul mare d’inverno. L’aprì come a scoprire un mondo nuovo dalle sembianze antiche. Si precipitò fuori con le scarpe slacciate, ne perse una mentre saltava i cespugli selvatici che la separavano dalla spiaggia. Si liberò del fermaglio unirle i capelli ricci e lunghi caderle sulle spalle e diede sfogo al suo affanno, alla gioia di esserci, di saperlo lì, tra le particelle d’aria respirare, le gocce d’acqua rinfrescare, il sole riscaldare. Paolo era lì, era ovunque, era vivo, come lei, con o senza di lui. E allora vive, vive il tempo che scorre inesorabile, vive la foglia caduta che si rialza, vive il respiro che accelera i battiti, vive ogni vita attraverso le sensazioni di essere vivo e vero.
A come MARE
Accenno sorrisi nel bianco di lenzuola mosse dal vento ad asciugare,lento, caldo, scomparire sui cuscini morbidi sparsi sul parquet,ad occhi chiusi con le ciglia sfiorare la pelle sottile, viaggiare nel cortile con i dischi di vinile a girare e rigirare su se stessi a riempire l’ambiente con la mente, ondeggiare pigramente con le mani lungo i fianchi sotto braccia, sulla breccia , di corteccia da scalfire coi ricordi, taglienti, suadenti a rimirare, sulle note del mare andare e tornare, lasciare, come schiuma sulla riva, come mai non fosse prima.
Notte
Le tre della notte, non del mattino.La notte, quella sveglia, che non chiude mai gli occhi, che sorveglia, sorride sorniona, come il mare d'inverno entra nelle case sul pontile barcollante dal desiderio di esser presente, d'esser vero, accecato dalla luce sbiadirne i contorni, lasciare posto al sole... solo a chi è capace di vedere, non intravedere.Leggera, come l'aria respirare senza rifiatare, solo assaggiare, sentirne il gusto ammaliare, con le dita tra le dita ad abracciare i miei pensieri, i più sinceri, come ieri, come oggi, finchè arriverà il domani.
Nervi saldi
Dall'edizione de "La Repubblica" di lunedì 12 febbraio, ho il piacere e l'onore di trascrivere un articolo dal gusto sottile e pungente di Massimo Lugli:PAROLA D'ORDINE: NERVI SALDI - "IO BERSAGLIO CON LA DIVISA" La rabbia è un lusso che non ti puoi permettere. Neanche quando ti piovono addosso bombe carta, petardi, sassi, bottiglie. Nemmeno quando fischiano i tuoi morti, t'insultano, ti sfottono, ti chiamano "servo dei servi dei servi" o peggio. Nervi saldi è la parola d'ordine: controlla l'adrenalina, respira a fondo, aspetta gli ordini.Comincia all'alba la giornata dell'ispettore Pietro, 32 anni, da dieci in forza al Reparto Mobile di Ponte Galeria, estrema periferia sud di Roma. Sveglia alle 6, colazione, bacio alla moglie (che ormai si è perfino stancata di ripetergli di fare attenzione) poi via sulla Portuense e meno male che a quell'ora, se non altro, il traffico scorre. Alle 9, ritiro attrezzatura: casco, scudo, protezioni di plastica modello "Robocop" per gomiti e ginocchia, manganello flessibile (la storia dell'anima di piombo o di mercurio, diciamolo una volta per tutte, è una panzana colossale), tutta roba che oggi, per fortuna, è destinata a rimanere sui blindati visto che la partita, lo prevedono tutti, andrà liscia e la tenuta antiguerriglia si tira fuori solo al momento cruciale. Forza tranquilla, è questa la parola d'ordine, allo stadio come alle mmanifestazioni: mai ostentare aggressività. Lo sanno bene i carabinieri che, dopo i fatti di Genova, quasi nascondono il "tonfa", l'arma derivata dal "kobudo" giapponese (peraltro efficacissima) che ultrà e centri sociali considerano un simbolo di repressione. La polizia, invece, il "tonfa" non l'ha mai adottato. Pranzo alle 10,30 in caserma tra i solitischerzi e gli sfottò che, dopo la tragedia di Catania, sono molto più svogliati perchè Filippo Raciti era veramente un amico per tanti poliziotti dei 13 Reparti Mobili di tutt'Italia, quasi sempre impegnati in estenuanti trasferte che si concludono a notte fonda. Poi si va sul blindato, in carovana verso l'Olimpico. Arrivi alle 11 e aspetti. Se tutto va bene ti annoi. Se va male finisci al pronto soccorso. "Condoglianze, in bocca al lupo" un signore corpulento con la sciarpa della Roma va a stringere la mano a un funzionario e si allontana velocemente, come se si vergognasse. "Non è il primo nè l'unico ed è una cosa che ci rallegra" mi spiega un vicequestore di 53 anni, alto e atletico, leggero accento toscano, l'aria pacata del guerriero mansueto. E' al Reparto Mobile da 34 anni filati e dire che ne ha viste di tutti i colori non rende minimamente il senso. "La cosa peggiore? Quei maledetti petardi, che spesso riempiono di chiodi. Le chiamano bombe carta ma di carta ce n'è poca, sono vere e proprie armi". Durante il derby Roma-Lazio Massimo Zanni, il funzionario che dirigeva il servizio d'ordine si è ritrovato con l'avambraccio squarciato fino al polso da una di queste "sharpnel" caserecci. "Anche i sassi fanno male, però -prosegue il vicequestore toscano- le bottigliette piene d'acqua quando ti arrivano addosso, sfondano lo scudo. A volte le troviamo durante i filtri, le facciamo stappare ma è una precauzione che serve a poco". Calma piatta, previsioni confermate anche sul frontemeteorologico e non c'è rischio d'inzupparsi di pioggia come succede spesso. Eppure, durante le "bonifiche preventive sul lungotevere De Bosis sono saltate fuori tre mazze ferrate capaci di sfondare casco e cranio con un colpo solo. "Forse è roba vecchia", ipotizza un funzionario del commissariato di Monte Mario, uno dei tanti chiamati ogni domenica a rinforzare le file del servizio d'ordine. I dintorni dell'Olimpico sono disseminati di arsenali, questo non è un mistero per nessuno. "Non sono solo le botte che fanno male ma anche certe storie che non dovrebbero succedere" l'ispettore è abbronzato, disteso e come molti colleghi sfoggia un paio d'impenetrabili occhiali da sole "qualche giorno fa io e altri 39 colleghi abbiamo ricevuto un avviso di garanzia per un fatto successo tre anni fa. L'accusa: articolo 40 del codice penale, non aver impedito l'evento, che è come averlo provocato. Cornuti e mazziati". Età media dei poliziotti del Reparto Mobile: 30-35 anni. Molti veterani concluderanno qui la carriera. Eppure è una vita durissima: ore e ore di addestramento sul campo "Red man", la protezione integrale per imparare a colpire col manganello senza provocare lesioni troppo gravi, teoria, pratica, trasferte. Spirito di corpo altissimo anche se la gerarchia si fa sentire più che in altre specialità. E allora? "Molti restano per le indennità" ammette Pietro. Sono 10 euro lordi per l'ordine pubblico e 26 per la trasferta, ma non si sommano. Quattro domeniche fuori sede fanno la fantastica cifra di 104 euro lorde. Quando ne guadagni 1200 al mese c'è poco da fare gli schizzinosi.